Cosa è successo all’acqua del Gran Sasso?

Sono passati ormai dieci anni dalla denuncia pubblica della mega discarica di Bussi. E, sembrano passati invano o quasi. Mentre si attende ancora la bonifica totale e reale delle aree, ancora una volta le cronache ci portano notizie di acqua contaminata.

Questa volta tutto parte più a monte. Per arrivare alla Provincia di Teramo. L’acqua è quella del Gran Sasso, l’acquedotto coinvolto quello che rifornisce Teramo e la sua provincia. Una nuova emergenza nata nel settembre dell’anno scorso. E su cui, quasi un anno dubbi, incertezze, domande non sembrano trovare soluzioni. Almeno non per la cittadinanza, non pubblicamente.

Una ricostruzione dei fatti, dopo la proclamazione regionale dello “stato emergenza idrica nel teramo”, la possiamo ricavare da una nota della Ruzzo Reti (l’ente gestore del servizio idrico in Provincia di Teramo). All’inizio di settembre 2016, “nelle captazioni del versante Aquilano, furono rilevate tracce di Diclorometano, seppur ampiamente sotto i parametri di legge”, scrive la Ruzzo Reti sottolineando che “prudenzialmente, sia Ruzzo Reti che il SIAN della ASL di Teramo hanno effettuato analisi sul pozzetto di derivazione situato in prossimità del Laboratori di Fisica Nucleare del Gran Sasso; tali analisi hanno confermato che non vi erano superamenti dei parametri di legge, ma, prudenzialmente, avendo le analisi del SIAN evidenziato qualche lieve anomalia, lo stesso SIAN ne ha disposto il non utilizzo fino a nuovo provvedimento”. La Ruzzo Reti aggiunge di aver avanzato “istanza risarcitoria nei confronti del Laboratorio di Fisica Nucleare per via dei maggiori costi sopportati nel processo di potabilizzazione”. I Laboratori del Gran Sasso in una loro nota riportano di non aver più riscontrato tracce del solvente già nei giorni successivi alla segnalazione della ASL.

Cosa è successo in quelle ore? Come è potuto finire il Diclorometano nelle acque captate? E perché, considerato che già nei “giorni immediatamente successivi” (cioè all’incirca tre mesi prima del provvedimento della Giunta Regionale) non sono stati più riscontrati tracce del solvente,  l’emergenza è stata dichiarata fino ad Aprile 2017?

I Laboratori del Gran Sasso sono ricompresi nell’inventario nazionale degli Impianti a Rischio di Incidente Rilevante previsto dalle Direttive Seveso, la situazione si è creata in un Parco Nazionale e coinvolge aspetti importanti della vita quotidiana di migliaia di persone, il Decreto 31/2001 (legge di riferimento per la qualità delle acque destinate al consumo umano) sulla potabilità delle acque e la Direttiva Seveso obbligano gli Enti Pubblici ad assicurare ai cittadini un’informazione trasparente, totale e immediata di qualsiasi rischio o pericolo, anche solo presunto, il decreto 195/2005 ((Decreto su “Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale”) prevederebbe a sua volta obblighi sulla trasparenza in materia ambientale e l’informazione alla cittadinanza. Ma, in questi mesi, l’unica vera trasparenza è venuta solo da movimenti e associazioni ambientaliste. Mentre le domande senza risposte aumentavano.

LA PRIMA EMERGENZA GIA’ NEL 2003

Il Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua Pubblica, dopo la proclamazione dell’emergenza e alla luce di quanto stava avvenendo, chiese “una profonda verifica, con inchiesta pubblica, sia necessaria, anche per quanto riguarda i lavori effettuati quando era commissario Balducci”. E qua la situazione s’ingarbuglia ancora di più perché, in realtà, nel dicembre 2016 la Regione ha proclamato un’emergenza che dovrebbe già esistere da 13 anni (anzi, nel momento in cui scriviamo, ormai 14). Nel 2003, in seguito al ritrovamento di trimetilbenzene,  il presidente del Consiglio dei Ministri aveva emanato una ordinanza di dichiarazione dello stato di emergenza del Gran Sasso, con conseguente nomina di un commissario (che fu individuato nella persona di Angelo Balducci). Dichiarazione dello stato di emergenza che  – dichiarò l’allora presidente della Regione Abruzzo Giovanni Pace – aveva l’obiettivo di una “messa in sicurezza” riguardante “il sistema idrico integrato e i laboratori di fisica nucleare”.  Uno stato di emergenza” che, scrive la dott.ssa Marconi, “a tutt’oggi non è mai stato dichiarato terminato”. Tutto iniziò il 16 agosto dell’anno prima quando, come ricorda il WWF, “arrivò l’incidente con il trimetilbenzene (nell’ambito dell’esperimento diventato famoso come Borexino) del 16 agosto 2002 che evidenziò tutta la fragilità del sistema di gallerie, laboratori e punti di approvvigionamento di acqua presenti nel Gran Sasso”. Il trimetilbenzene, finito nei torrenti Gravone a Casale San Nicola e poi nel torrente Mavone a Isola Gran Sasso, era stato usato nei Laboratori di fisica nucleare ricavati nel Gran Sasso. L’indagine sull’incidente portò al sequestro nel maggio 2003 della sala C del Laboratorio, dove era avvenuto l’esperimento “Borexino”. All’ex direttore dei laboratori Alessandro Bettini e al presidente dell’istituto nazionale di fisica nucleare Enzo Iarocci, ammessi al patteggiamento per le accuse di scarico non autorizzato di acque reflue industriali, sversamento di sostanze tossiche e pericolose, deturpamento di bellezze naturali, fu comminata un’ammenda di 1672 euro ciascuno. Entrambi invece furono assolti dalla Corte dei Conti in quanto “evento dannoso comunque caratterizzato da una notevole accidentalità che si poneva al di fuori di ogni previsione circa la struttura di qualunque misura di sicurezza precostituita dall’Istituto e dalla direzione del Laboratorio”. Il 19 luglio 2012 in una lettera l’Istituto Superiore di Sanità sostiene che ci sarebbe incompatibilità tra la captazione delle acque ad usi idropotabili e le attività dei Laboratori di Fisica Nucleare. Due le alternative secondo l’ISS: ridurre le strutture e le attività dei laboratori rendendoli conformi alla legge o evitare di prelevare l’acqua proprio dal Gran Sasso. Nella missiva l’ente scientifico sostiene anche di non avere notizie della realizzazione dei lavori programmati della pavimentazione relativi alla protezione dell’acquifero dell’area B dei laboratori non sarebbero mai stati realizzati. “Almeno in parte, per ragioni sconosciute, – scrive l’Istituto Superiore di Sanità – i lavori programmati dal commissario non furono eseguiti allora e di certo non furono completati prima del 2013. Sarà un caso ma nessuno ha finora spiegato in quale zona del laboratorio l’ultimo incidente di agosto sia successo”.  

AMBIENTALISTI RENDONO NOTO I DATI DI NOVEMBRE 2016

Ma i fatti di settembre non sono rimasti un episodio isolato. Anzi. E per questo, quasi un anno dopo, è importante ricostruire la cronistoria dei fatti e tornarci su.

Il Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua Pubblica ha infatti reso noto, dopo che la ASL di Teramo ha pubblicato online i referti da agosto a novembre 2016 dei campioni prelevati presso i laboratori, all’uscita a Casale San Nicola e in tutta la rete di distribuzione del teramano, che “nell’acqua del Gran Sasso a novembre è stata rilevata la presenza di cloroformio, un possibile cancerogeno per l’uomo secondo lo IARC, oltre i limiti per le acque sotterranee delle leggi ambientali in diversi controlli avvenuti il 10 e 21 novembre 2016 (e con valori vicini al limite il 7 novembre). In quel momento le acque del Gran Sasso non andavano nella rete idropotabile”. La documentazione pubblicata online dalla ASL, riportano gli ambientalisti nel comunicato, evidenzia questi dati:

a)il cloroformio è stato trovato sia presso i Laboratori che a Casale S. Nicola il 7 novembre 2016 con valori in entrambi i casi di 0,1 microgrammi/litro, appena al di sotto dei limiti di legge (Concentrazioni Soglia di Contaminazione, CSC) per le acque sotterranee del Codice dell’Ambiente (D.lgs.152/2006, Tabella 2 dell’Allegato 5 al Titolo V della Parte quarta) pari a 0,15 microgrammi/litro;

b)tre giorni dopo, il 10 novembre, ai Laboratori non risultano essere stati prelevati campioni; invece a Casale S. Nicola il Cloroformio era a 0,3 microgrammi/litro, il doppio del limite di legge (e i trialometani, la famiglia di sostanze in cui è ricompreso il cloroformio, in complesso 2,4 microgrammi/litro);

c)il giorno 15 novembre sia nei Laboratori sia a Casale S. Nicola non risultavano tracce di cloroformio né di altri trialometani;

d)il giorno 21 novembre, ultima data disponibile per quanto riguarda i controlli pubblicati, sia ai laboratori sia a Casale S. Nicola risultava un valore di Cloroformio di 0,5 microgrammi/litro, più del triplo rispetto alle norme ambientali (nei laboratori c’era solo il cloroformio mentre a Casale S. Nicola anche alcuni altri trialometani per un valore complessivo di 1,6 microgrammi/litro)”.

A MAGGIO GRANDE EMERGENZA LAMPO. I CITTADINI “ASSALTANO” I SUPERMERCATI

E arriviamo al maggio di quest’anno. Al 9 maggio per l’esattezza, quando in 32 Comuni della Provincia di Teramo,  serviti dalla Ruzzo Reti spa,  l’acqua fornita è stata dichiarata non idonea al consumo umano. Emergenza dichiarata rientrata nella notte ma che ha allarmato, lasciando numerosi dubbi, migliaia di cittadini che avevano letteralmente preso d’assalto i supermercati. Nel tardo pomeriggio la ASL in una nota informava della non conformità dell’acqua per “odore e sapore non accettabile” rilevata dall’Arta. A L’Aquila, invece, il direttore tecnico della Gran Sasso Acqua (che rifornisce il capoluogo e altri 35 Comuni) dichiarava che le analisi effettuate dopo le segnalazioni di “cattivo odore” confermavano la potabilità. In piena notte, nuove analisi alla mano, L’ARTA ha certificato la “piena conformità alla normativa vigente” dell’acqua distribuita. Emergenza quindi, ufficialmente, rientrata.  Il presidente della Ruzzo Reti Fortini, dopo la fine dell’emergenza lampo, aveva definito alla stampa locale le attività di Ruzzo Reti, Laboratori sotto il Gran Sasso e Strada dei Parchi “confliggenti”, aggiungendo che “forse qualcuno dei tre dovrebbe rinunciare ma non dico io chi. O forse si dovrebbero trovare risorse per mettere in sicurezza il tutto ed evitare episodi come quelli accaduti”. Ma l’Istituto nazionale di fisica nucleare e Strada dei Parchi hanno dichiarato la propria estraneità ai fatti del 9 maggio. L’Istituto ha dichiarato che “le acque provenienti dal punto di captazione interno ai Laboratori sono messe a scarico dal giorno 1° maggio. È quindi da tale data che tutte le acque provenienti dai Lngs non vengono immesse nella rete idrica dell’acquedotto del Ruzzo”. A sua volta Strada dei Parchi ha definito ridicoli i sospetti, dichiarando che i materiali sono autorizzati dalla ASL, che in oltre dieci anni non hanno mai rilevato problemi, che “le quantità di solventi contenuti nelle vernici sono davvero infinitesimali” e sottolineando la presenza sotto il manto stradale di 25 centimetri di catrame e dai 30 ai 70 centimetri di cemento armato e, quindi, sarebbe impossibile qualsiasi filtraggio nella falda. Secondo la Società del Gruppo Toto è in atto “un perverso gioco di scarico delle responsabilità e di errori di valutazione”. Il Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua ha fortemente criticato la presenza e l’utilizzo di alcune sostanze nei Laboratori, le mille tonnellate di acquaragia e i 1.250 di trimetilbenzene. “Un eventuale incidente all’Infn contaminerebbe l’acqua delle province di Teramo, L’Aquila e Pescara, in quanto tutto è collegato al Gran Sasso”, la denuncia di Augusto De Sanctis del Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua Pubblica. Secondo De Sanctis il toluene trovato ad inizio maggio, però, non poteva venire dai Laboratori in quanto l’acqua era “a scarico” e, quindi, la sostanza chimica “probabile sia legata alla verniciatura all’interno del traforo”. Il 3 e il 5 maggio l’ARTA ha riscontrato presenze di toluene, etilbenzene e xilene, di cui ha dato notizia alla ASL l’8 maggio che, nello stesso giorno, ha segnalato questo ritrovamento a vari enti ponendolo in possibile correlazione con i lavori di verniciature nelle gallerie autostradali. Un’eventualità che Strada dei Parchi il 10 maggio ha definito “ridicola”, aggiungendo che “le quantità di solventi contenuti nelle vernici sono davvero infinitesimali”.  Tracce di Toluene sono state riscontrate anche a L’Aquila nei campioni di acqua del 5 e dell’8 maggio. In quei giorni Aurelio Melaragni, direttore tecnico della Gran Sasso Acqua – che gestisce il servizio idrico all’Aquila e in altri 35 Comuni – rese noto che le prime analisi effettuate dopo segnalazioni di “cattivo odore” confermavano la potabilità dell’acqua distribuita nel capoluogo regionale e nella zona. Nell’occasione lo stesso Melaragni ha ipotizzato – testualmente – “interferenze durante lavori stradali”.

L’ultima puntata di questa infinita vicenda è del 28 luglio quando, in un’intervista, il Presidente della Provincia di Teramo ha reso noto che Autostrada dei Parchi voleva procedere alla verniciatura delle gallerie autostradali sotto il Gran Sasso. Secondo informazioni raccolte dal Forum “pare che l’intervento sia stato rinviato in extremis durante il tavolo di lavoro regionale sul Gran Sasso”. L’intervento è poi avvenuto? Perché è stato all’ultimo rinviato? E’ un rinvio legato all’emergenza di maggio o sono altri i motivi? Se fossero altri, quali?

Alessio Di Florio

 Pubblicato su http://www.lagiustizia.info ma non più presente dopo la ristrutturazione del sito

Pubblicato da Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora tra gli altri con Giustizia!, Telejato.it, Casablanca, I Siciliani Giovani e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e rotta adriatica del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di marcare la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.