Se si accetta l’ingiustizia arriverà il giorno che non la si vedrà neanche più

2855521-9788817055772 “Avrai già sentito la parola MAFIA.”

Si papà.”

“E’ una parola molto antica. Pensa, apparve per la prima volta in un vocabolario nel 1868, con due significati: “miseria” e “prepotente”. L’autore del vocabolario spiega che la mafia è la “miseria” di chi crede che vale solo la legge del “prepotente”.E aggiunge: quell’uomo si crede tanto importante grazie alla sua forza e invece è una bestia, perchè solo tra le bestie la ragione sta dalla parte del più forte. Si sente un uomo rispettato, un “uomo d’onore”, invece è come un animale. 1868: più di un secolo fa. Sai cosa succederebbe se Tonio per un secolo intero continuasse a intascare le mance dei compagni di classe?”

Non finirei mai un album di figurine, pensai. Ma risposi: “Non so.”

“Te lo dico io” continuò papà. ” Tra cento anni, dare quei soldi a Tonio non ti sembrerebbe più un’ingiustizia, ma una cosa normale. Pensaci. Abituato a farlo ogni giorno, ti sembrerebbe una cosa giusta, come dare i soldi al bidello in cambio della pizzetta all’intervallo. Non ricorderai più che la richiesta di Tonio era nata come una prepotenza e non ti verrà più in mente di andare dalla maestra per farti difendere. A forza di accettare l’ingiustizia, non vedrai più l’ingiustizia. Non vedrai più due leggi diverse in classe: quella della maestra, giusta e quella di Tonio, ingiusta. No, ne vedrai una sola: quella della maestra, quella del preside e di Tonio. E ubbidirai allo stesso modo. Anzi siccome Tonio usa il coltellino e la maestra no, ubbidirai alla legge di Tonio anche a costo di andare contro la legge della maestra. E’ quello che è successo nella nostra Sicilia.”

“Cioè?”

“Accanto alla legge giusta, quella dei sindaci, della polizia, dei giudici, che regola la vita delle città, se n’è formata un’altra, di prepotenti che, ad esempio, entrano in un negozio e dicono al proprietario:”Tu ogni mese devi darci dei soldi. Se provi a rivolgerti alla polizia, te ne pentirai”. E come voi non andate dalla maestra e fate finta di non vedere Simone che rotola dalle scale, così il negoziante non andrà alla polizia, starà zitto e ogni mese pagherà per paura di saltare in aria col suo negozio. A forza di pagare, alla fine gli sembrerà una cosa normale, giusta….Ricordati la data di quel vocabolario: 1868. Dopo oltre un secolo di ingiustizie del genere, la mafia, l’insieme di quei prepotenti che si credono grandi uomini e invece sono bestie, è diventata una legge accettata da molti, in Sicilia, rispettata come la legge dei sindaci e della polizia. Anzi spesso le due leggi sono la stessa cosa, perchè ci sono poliziotti e sindaci che stanno dalla parte della mafia”……

…..”Ricordati cosa diceva quel vecchio vocabolario: bestie non uomini. gente che uccide parenti con un fucile da lupi e lascia cadaveri tra i maiali. Animali tra gli animali. Anzi, peggio. Perchè gli animali uccidono per fame e per istinto, mentre i cosiddetti uomini d’onore, che a differenza delle bestrie possono pensare, uccidono per odio e fame di potere. Giovanni non voleva lasciare la sua città nelle mani di questa gente. Voleva che un giorno anche a Palermo valesse una legge sola: la legge giusta. Per questo ha speso tutta la sua vita a combattere il mostro.

Non riuscivo a staccare gli occhi dal bicchiere. Come si può essere così feroci da sciogliere in un bidone la voglia di giocare che ha un bambino? I suoi capelli, i suoi occhi, i suoi sogni, l’amore per sua mamma, tutta la vita che aveva davanti e le cose che non aveva ancora imparato a scuola: tutto…Avrei voluto vederlo in faccia, quell’uomo d’onore che ha avuto il coraggio di sollevare Giuseppe e di metterlo nell’acqua, e magari è rimasto lì a guardarlo che spariva come un’aspirina. Ecco,  fu davanti a quel bicchiere d’acqua che, per la prima volta in vita mia, pensai al coltellino di Tonio senza paura.”……

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Questo brano mi è ricomparso giorni fa tra gli “Accadde oggi” di facebook. E’ una vibrante pagina del libro “Per questo mi chiamo Giovanni. Da un padre ad un figlio il racconto della vita di Giovanni Falcone”, uscito nel 2004 scritto da Luigi Garlando (fumettista e giornalista de “La Gazzetta dello Sport”).Ci sono giorni in cui veramente ci si sente stanchi, sconfitti, in cui sembra che le ingiustizie, le oppressioni, la prepotenza e l’apparenza sono invincibili. In cui ci si domanda che senso ha, perché lottare. Sono i giorni in cui l’amarezza e la solitudine sono tanto, troppo, in cui pesano più che mai vuoti e assenze (parafrasando Alessio Lega, in cui ci si accorge più che mai di non esser riusciti a trovare e raggiungere anche l’oasi nel deserto…), troppe le attese frustrate e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le incomprensioni che nascono e segnano, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che il cuore brama e ciò che si riesce a compiere“. Ecco, brani e libri come questi, esempi come Falcone, Peppino Impastato, Pippo Fava, Roberto Mancini, Alexander Langer, Dino Frisullo, Fabrizio Dé Andre, Giancarlo Siani, Rita Atria e tanti altri (ma anche molti viventi, e non ne cito nessuno per timore di dimenticarne alcuni importantissimi, ma a tutti loro mi permetto di dedicare questo brano) fanno sentire meno soli, alleggeriscono i pesi e ricordano che non è vita la sopravvivenza, che non è vita se si accettano le catene, non è vita chinare il capo, servi e silenti, se non si brama giustizia e umanità. E allora, sembrerà una traversata nel deserto, farà soffrire, avrà costi immensi. Ma non si deve mai rinunciare ai sogni e agli ideali più alti, nobili e belli.

Questa la trama del libro riportata su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Per_questo_mi_chiamo_Giovanni)

Giovanni è un bambino di dieci anni che abita a Palermo e frequenta la quinta elementare. Il padre Luigi, che per lavoro apre negozi di giocattoli, per il suo decimo compleanno decide di regalare al figlio una giornata da trascorrere insieme, portandolo in giro per Palermo, e parlandogli della città e della mafia. Egli la paragona a ciò che succede nella sua scuola, dove è presente un bullo di nome Tonio (di tre anni più grande di Giovanni, e frequentava anche lui la quinta elementare) che sfrutta i più deboli per ottenere ciò che vuole. Durante la gita, il papà gli racconta la storia di Giovanni Falcone, dalla sua nascita, passando per la sua giovinezza, il suo lavoro, il maxi processo, fino alla sua morte. Il padre gli rivela che esso è stato chiamato così proprio per devozione a questo personaggio. Quando arrivano all’uscita dell’autostrada per Capaci, dove è avvenuta la morte di Falcone, il papà confessa che anche lui un tempo aveva pagato il pizzo alla mafia e che, quando si rifiutò di pagare ancora, il suo negozio venne raso al suolo, ma con esso anche un pezzo di mafia. I due si recano davanti alla casa di Falcone, dove ora si trova l’Albero Falcone, dove i bambini appendono i loro pensieri per Giovanni. Giovanni, al termine di questa giornata significativa, decide di fare visita alla signora Maria, sorella di Falcone. Il giorno dopo torna a scuola e si ribella a Tonio, compagno di scuola che lo maltrattava.

Qui è possibile leggere una parte della versione a fumetti di Claudio Stassi e qui è possibile leggere una parte del libro

Pubblicato da Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora tra gli altri con Giustizia!, Telejato.it, Casablanca, I Siciliani Giovani e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e rotta adriatica del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di marcare la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.