Traffico internazionale di rifiuti sulle navi: non è solo passato?

“End of waste”, la fine dei rifiuti. E’ il nome dell’inchiesta coordinata dalla DDA di Roma che nelle scorse settimane ha colpito un traffico internazionale di rifiuti metallici contaminati. Rifiuti che partivano dai porti di Civitavecchia, Livorno, La Spezia, Genova e Ravenna per raggiungere Cina, Indonesia, Pakistan e Corea. Sette ordinanze di custodia cautelare e sequestro preventivo di diversi stabilimenti situati a Orvieto e nel viterbese, oltre a svariati milioni di euro. Mediante vari giri di false attestazioni e certificati, è l’accusa, sarebbero stati acquistati rifiuti industriali complessi e contaminati, su tutti da Pcb (policlorobifenili – di tossicità equiparata alla diossina), e lo rivendevano tale e quale come materiale recuperato dopo aver simulato lo svolgimento di procedure di bonifica in Italia. 46 milioni di euro l’anno il giro d’affari stimato dagli investigatori.

Saranno i giudici a stabilire le eventuali responsabilità penali dei coinvolti nella vicenda. E, come stabilisce la Costituzione Italiana con la “presunzione d’innocenza”, nessuno è colpevole fino a sentenza passata in giudicato. Ma le indagini del Nucleo speciale di intervento della Guardia Costiera sicuramente hanno scritto un nuovo capitolo della pluridecennale storia che vede intrecciarsi rifiuti di ogni tipo, navi, rotte internazionali. Un libro che una certa narrativa vorrebbe confinare al passato. Ma non è così. Ne ha parlato anche l’On. Alessandro Bratti nel gennaio scorso. Intervistato da Toni Mira su Avvenire l’8 gennaio scorso, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti fece esplicito riferimento a irregolarità nel traffico internazionale di rifiuti. Citando esplicitamente, oltre l’Africa del Nord, vari Stati tra cui la Cina. La natura dei rifiuti citati da Bratti appaiono però diversi da quelli citati nell’inchiesta “End of Waste”. Queste le sue testuali parole: “C’è ancora un traffico di rifiuti verso Paesi stranieri? Sicuramente sì […] Abbiamo verificato che esiste un traffico di rifiuti pararegolare, che riguarda numerosi porti europei verso il Nordafrica. Si tratta di traffici ‘regolari’ ma che poi, come abbiamo verificato, in alcuni casi regolari non sono. Vengono denunciati come materie prime e seconde e in realtà sono veri e propri rifiuti. […] Stiamo facendo una relazione proprio su questo traffico di rifiuti transfrontaliero dove racconteremo tutto. Ma non ci sono solo questi traffici”. Poi spiegò che la Commissione si stava occupando “dell’esportazione del Cdr, il combustibile da rifiuto prodotto in Italia, non smaltito nei nostri cementifici ma che va all’estero. Ci sono delle filiere verso il Marocco, il Portogallo, la Romania. Anche in questo caso ci sono state situazioni in cui i Paesi ‘riceventi’ hanno chiesto di fare delle ulteriori analisi perché hanno sospettato che il materiale non corrispondesse veramente alla descrizione cartacea, che invece di Cdr fosse rifiuto vero e proprio. […] Come si è globalizzata l’economia, così il malaffare. Il traffico di rifiuti, lecito e illecito, va ben oltre i confini, non è più un problema nord-sud Italia”. Il giorno prima, sempre Avvenire aveva pubblicato l’intervista ad un ex agente dei servizi secondo cui tra Mauritania e Mali sono in azione “gli stessi personaggi” dei tempi del capitano Natale De Grazia e enormi traffici bellici starebbero spargendo l’ex arsenale di Gheddafi in “mezza Africa”.

Davanti alle dichiarazioni di Bratti la domanda viene spontanea: le “navi dei veleni” sono forse ancora attive? Ci sono ancora organizzazioni criminali che proseguono l’attività su cui stavano indagando De Grazia e Alpi? Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Natale De Grazia. Passano gli anni ma non la sete di giustizia e verità su chi li ha assassinati. E mentre il flusso dei rifiuti, come ha sottolineato anche Fabrizio Feo al tg3 l’11 ottobre scorso, prosegue ininterrotto (3 anni fa la Procura di Bologna – ricorda sempre Feo – individuò un traffico verso Ghana e Nigeria da parte di un’organizzazione presente in varie regioni italiane. Oltre 1000 spedizioni solo tra il 2010 e il 2013) i “resti” di quello su cui loro stavano documentando sono ancora lì. Natale De Grazia si stava recando a La Spezia quando fu assassinato. Le “navi dei veleni” su cui De Grazia stava indagando sono probabilmente 90 circa. A La Spezia indagini e accuse negli anni si sono concentrate sulla discarica Pittelli. Sequestrata nel 1996 e su cui si è celebrato un processo penale concluso nel 2011 con assoluzioni. Andrea Palladino nel libro “Trafficanti – sulle piste di veleni, armi e rifiuti” l’ha definita “la più grande discarica d’Italia, forse d’Europa. 4 immense vasche, costruite l’una nell’altra che tagliano la collina di Pitelli. Alcune società dove si incrociavano i maggiori gruppi italiani ed europei hanno sversato centinaia di migliaia di tonnellate di scorie pericolosissime per vent’anni. Vent’anni di silenzi, di complicità, di autorizzazioni bizzarre, di lauti compensi versati ad amministratori pubblici, militari della Marina, politici di destra e di sinistra”. La città ligure, secondo Palladino, “fu una prolifica meta turistica per pezzi di armamenti e rifiuti tossici italiani recuperati nel Libano in piena guerra civile. Due investigatori dell’antimafia di Genova, nel 1997 sostennero che il vestito di mittente del materiale bellico, proveniente dall’area del corno d’Africa e dalla Somalia, fu indossato dai massoni spezzini, il ciò non è garanzia di eleganza. Tali massoni si accordavano con i signori della guerra, in una città, che assumeva ormai le forme di una serpe armata, la cui bocca, pallottola ansimante di prestigio, sputava veleno”. Ma, ribadiamo, per i tribunali dello Stato Italiano penalmente “il fatto non sussiste”.

In un’intervista al Secolo XIX pubblicata il 14 febbraio 2014, Carmine Schiavone parlò di un coinvolgimento del clan Nuvoletta e di come anche in Liguria sarebbero stati sepolti veleni. “Armi caricate dai servizi segreti, cocaina nascosta anche dentro le palme in arrivo dal Sud America, rifiuti tossici e nucleari dal Nord, movimentati da Licio Gelli e dall’avvocato Cipriano Chianese, transitavano dalla Liguria, nei porti di Genova, e Spezia” le sue parole riportate dal quotidiano. Dopo queste dichiarazioni anche l’allora Ministro della Giustizia Orlando chiese di indagare sull’area. Ma, ad oggi, non abbiamo mai avuto riscontri ufficiali e risultati definitivi di inchieste.

Ilaria indagava sul traffico di rifiuti e cercava risposte sullo scandalo che coinvolgeva il nostro ministero degli Esteri, quello della Difesa, i nostri Servizi, le società coinvolte nello scambio armi-rifiuti. Noi fomentavamo una guerra che eravamo andati a placare” ha dichiarato la madre Luciana a La Repubblica nel 2014. La signora Alpi nell’intervista dichiarò di essere convinta che “la fonte di Ilaria fosse Li Causi”, ex uomo dei Servizi militari italiani e per un certo tempo attivo nella struttura segreta Gladio (creata per fronteggiare un’invasione del blocco sovietico, ndr) a Trapani”. Secondo una ricostruzione di Famiglia Cristiana (dicembre 2003) “il nome del maresciallo Li Causi e quello del suo collega del Sismi Giulivo Conti (al suo fianco, in Somalia, anche durante l’agguato mortale) compaiono nelle carte relative alle indagini sulla Falange armata, sigla usata per rivendicare una lunga serie di attentati, dagli omicidi di Falcone e Borsellino alle stragi mafiose del 1993, e dietro la quale gli investigatori hanno spesso intravisto l’ombra di pezzi deviati delle istituzioni. Sia Li Causi sia Conti hanno fatto parte della VII Divisione del Sismi, che aveva anche il compito di gestire la struttura di Stay Behind, ovvero Gladio”. Sempre secondo il settimanale “l’inchiesta condotta dal pm romano Franco Ionta è finita con la richiesta d’archiviazione; per ben due volte il ministero della Giustizia (all’epoca guidato prima da Flick e poi da Diliberto) ha negato l’autorizzazione a indagare su un somalo sospettato di essere colpevole. I ministri smentiscono di essersi mai occupati del caso: sulle loro scrivanie, dicono, quelle carte non sono mai arrivate”. 

Come concluse Fabrizio Feo nel servizio dell’11 ottobre scorso, il traffico internazionale di rifiuti “con solide basi istituzionali, si basa su accordi inconfessabili e muove giri di denaro vorticosi. Chi tocca quei fili muore”. Ma c’è chi continua a negarlo, così come è ancora negata giustizia ad Ilaria Alpi “che lo aveva compreso già ventitre anni fa“. Sintesi perfetta a cui non è necessario aggiungere altro.

 

Alessio di Florio

 

Pubblicato su http://www.lagiustizia.info

Pubblicato da Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora tra gli altri con Giustizia!, Telejato.it, Casablanca, I Siciliani Giovani e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e rotta adriatica del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di marcare la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.