Rotture di Vespa/8

IlCentroSasi25set19 Martedì scorso si è riunito il consiglio comunale di Vasto sul tema dell’emergenza idrica nel vastese. L’articolo su Il Centro di Anna Bontempo riporta molte questioni emerse e altre le sottolineano (quasi tutti) i comunicati stampa usciti. Ma, al di là delle concrete problematiche emerse (tariffazione, verifica non allacci, perdite la cui percentuale sicuramente indigna, monitoraggi, ecc.) una è rimasta più o meno sullo sfondo. Concretizzata nell’esordio “politico” dell’audizione dei vertici della società gestore. E riporta ad una questione esiziale ma ormai accantonata. C’è stato un periodo in cui “l’acqua pubblica” è stata un tema dirompente nel dibattito politico nazionale, in cui c’è stata la corsa (anche in Abruzzo e nel vastese) a dichiararsi paladini dell’acqua bene comune e della sua proprietà pubblica. E’ stato il periodo della vittoria referendaria del 2011. Sono passati gli anni e 1) il quadro politico è nettamente mutato 2) dopo il referendum nazionale è venuto il momento in cui calare nelle realtà territoriale e dare ulteriori gambe per camminare alla vertenza. E i tanti paladini, anche nostrani, sono evaporati in larga parte più dell’acqua che bolle. Perché la bandiera dell’acqua non faceva più comodo. E il tema localmente diventa scomodo da affrontare.

Ci sono riflessioni, ovviamente, che vanno oltre il consiglio comunale dell’altro giorno e lo specifico caso.

Il bene comune, la proprietà pubblica, l’intera polis sempre più negli ultimi decenni – non s’intende che prima non accadesse ma c’erano comunque dei contrappesi e delle voci anche abbastanza forti di contrasto – sono stati piegati e divorati da altro. Pubblico non è palazzo, pubblico non è spartizione da manuale cencelli, pubblico significa di tutti e non di una elité autoreferenziale di più o meno presunta classe politica. Sentire un dirigente di una società esordire rivendicando le sue esperienze politiche/partitiche è una sorta di corto circuito. I partiti si candidano alle elezioni, si esprimono nelle assise istituzionali. E, tra l’altro, rivendicare che si può essere sempre ricevuti può essere meritorio. Ma non basta. Non è un consigliere o un assessore, un segretario o un funzionario di partito la controparte. E’ la cittadinanza. Devono essere i consigli comunali e le occasioni pubbliche, partecipate ed aperte nelle quali – come si suol dire – vita, morte e miracoli devono essere fatte conoscere alla cittadinanza intera. E sono loro i proprietari, loro è il bene comune da tutelare. Difendere l’acqua pubblica, nel 2011 come oggi, deve significare questo. Non lasciarsi andare a spartizioni cencelli, a divisioni frutti di accordi o scontri tra partiti. O simili. Ancor di più in un’epoca in cui i palazzi appaiono sempre più lontani dalla piazza, erosi e dominati da dinamiche che vanno in tutt’altra direzione. Perché troppo spesso la gestione pubblica in mano a lor signori è una gestione che guarda più alle lobby, ai grandi sponsor, ai potentati economici. Mentre in tutto il resto dominano clientelismo, gestioni più o meno fallimentari, favori agli amici e agli amici degli amici e agli amici degli amici degli amici. E così via. Vale per l’acqua ma vale per tanto altro. E’ questa è oggi una delle denunce e battaglie fondamentali per la democrazia: denunciare i piccoli e grandi potentati, le connivenze delle zone grigie, restituire la polis alla sua essenza genuina e strapparla dai palazzi, dalle elite, delle consorterie.

Torno in conclusione sulla nostra situazione locale. Su tante questioni, come scritto all’inizio, già si è detto e scritto. E mi sono già espresso (come cittadino attivista ma soprattutto, anche di recente, nei comunicati di vari sodalizi). C’è una domanda che anche martedì è uscita fuori. Ma è rimasta come sempre la Cenerentola del dibattito. Siccome mi sta molto a cuore vorrei chiudere tornandoci sopra. Il nostro territorio, nonostante previsioni regolamentari e di legge che pare prevederebbero altro, vive ancora il dualismo tra la società proprietaria delle reti e quella che li gestisce. Situazione che, secondo un passaggio del consiglio comunale di martedì, creerebbe anche problemi di gestione economica. Era l’autunno 2014 quando, dopo anni e anni di dibattiti e annunci, i sindaci/soci (perché tra l’altro le due società hanno gli stessi soci più o meno) votarono per il superamento di tale dualismo. All’inizio del 2015 un comunicato stampa di varie associazioni, impegnate nell’allora Comitato Acqua Bene Comune Lanciano/Vasto che portava avanti l’attività del comitato referendario 2010/2011 concretizzandolo nel territorio, pose l’accento anche su questa situazione. Domandando perché la partita non era ancora chiusa e cosa si stava realmente facendo. Ci fu una dura risposta su Il Centro dell’allora commissario ISI (che sinceramente non so se è ancora lui) che accusava le associazioni di sbagliarsi completamente. Un paio di anni fa (se non ricordo male) proprio in un consiglio comunale vastese emerse che la partita sarebbe stata definitivamente conclusa (sempre se non ricordo male) a giugno dell’anno scorso. E invece le due società sono ancora in piedi. Perché? Cosa mancherebbe a chiuderla? E quali costi questo dualismo comporta ancora oggi ai contribuenti? Domande ancor più sul tavolo alla luce di quanto emerso martedì ovvero che crea difficoltà per esempio nel reperire mutui per la Sasi.

 

SianiVespa

Il 20 settembre è il compleanno di Giancarlo Siani, il 23 l’anniversario del suo assassinio, il 27 il primo della morte di Peppe Vespa, storico giornalista indipendente aquilano. Dal 20 al 27 settembre ogni giorno verrà riportata qui una notizia sottaciuta, sottovalutata, che non ha provocato la sacrosanta netta indignazione, che non ha avuto a dovere lo sguardo come doveva. Quello sguardo che Peppe Vespa e Giancarlo Siani hanno avuto.

“i giornalisti giornalisti portano i notizie, i scup e chill è rottur e cazz e fann mal assai…”

e’ rottur e cazz, parafrasando Danilo Dolci, fanno seminare domande e quando maturano pretendono che germinino risposte.

le rotture ‘e cazzo riempiono le giornate di dubbi, incertezze, ansie, amarezze, fann viv nu schif e sentire ogni giorno inadeguato, non all’altezza, tolgono gioie, felicità, quelle piccole e grandi cose che allietano l’esistenza e ti fanno vivere una vita normale, senza patemi, col cuore che nin zi scarc’ tutt li sand mument … ma quando sei nato come lo scorpione della favola di Esopo, com cazz si fà a cambiare? E la stanchezza alla fine ti esaurisce, implori una Sant’Elena anche in comproprietà, ma non ce la si farà mai …

Ma nonostante tutto, nonostante quel che ci circonda, nonostante la vita ogni giorno invita a fare gli impiegati come dice Sasà in questo estratto di Fortapasc, l’augurio più bello è per noi che stiamo ancora qua. Come disse sul letto d’ospedale poco prima di morire Roberto Mancini, non amalgamarci perché non è finito nu cazz…

Pubblicato da Alessio Di Florio

Militante comunista libertario e attivista eco-pacifista, referente abruzzese dell’Associazione Antimafie Rita Atria e di PeaceLink, Telematica per la Pace. Collabora tra gli altri con Giustizia!, Telejato.it, Casablanca, I Siciliani Giovani e altri siti web. Autore di articoli, dossier e approfondimenti sulle mafie in Abruzzo, a partire da mercato degli stupefacenti, ciclo dei rifiuti e rotta adriatica del clan dei Casalesi, ciclo del cemento, post terremoto a L'Aquila, e sui loro violenti tentativi di dominio territoriale da anni con attentati, intimidazioni, incendi, bombe con cui le mafie mandano messaggi e tentano di marcare la propria presenza in alcune zone, neofascismo, diritti civili, denunce ambientali tra cui tutela coste, speculazione edilizia, rischio industriale e direttive Seveso.